I dati forniti dall’ISTAT non lasciano spazio ad interpretazioni: l’Italia è in recessione demografica.
Il calo numerico delle nascite, ormai dal 2015, risulta infatti statisticamente significativo e paragonabile, tornando ad inizio secolo, solamente a quello registrato nel biennio 1917-1918: periodo storico segnato dalla Prima Guerra Mondiale e dai drammatici effetti successivi all’esplosione dell’epidemia di febbre “spagnola”.
Secondo i dati relativi al 2018, gli uffici dell’anagrafe segnalano 140.000 nascite in meno rispetto a quelle fotografate un decennio prima, nel 2008. Per rendere più comprensibili questi valori numerici assoluti, è emblematico sottolineare che il 45% delle donne italiane comprese tra i 18 e i 45 anni non ha ancora avuto figli. Questo dato è paradossale se lo si confronta con quello che riguarda la volontà degli individui presi a campione: meno del 5%, infatti, dichiara che “l’avere figli non rientra nel proprio progetto di vita”.
La tendenza, quindi, rappresenta un campanello d’allarme sociale che mette in evidenza, nella maggior parte dei casi presi a campione, l’impossibilità (e non la volontà) di pensare ad una gravidanza nella fascia d’età in cui la donna è maggiormente fertile. I giovani, infatti, escono dalla famiglia sempre più tardi (più del 50% dei giovani tra 20 e 35 anni vive con almeno un genitore) e si trovano a sperimentare percorsi di vita meno lineari rispetto al passato: questo, fondamentalmente, a causa delle condizioni economiche specifiche in cui gli stessi sono inseriti.
Diventa quindi fondamentale preservare la fertilità femminile in una fascia di età in cui la donna è maggiormente fertile: possibilmente entro i 35 anni; comunque non oltre i 40 anni.
Il “social egg freezing”, letteralmente la crioconservazione della cellula uovo per motivi sociali, è una risorsa concreta cui le donne possono accedere sia per i motivi sopra-elencati sia per motivi prettamente medici: è il caso, infatti, di:
– terapie e interventi potenzialmente demolitivi della riserva ovarica (patologie neoplastiche);
– patologie che impoveriscono la riserva ovarica (come, ad esempio, l’endometriosi);
– presenza di valori indicativi di ridotta riserva ovarica;
– casi di familiarità di menopausa precoce in famiglia.
Il programma che porta alla crioconservazione degli ovociti si declina come una classica tecnica di Fecondazione Assistita e prevede:
1. Colloquio con uno specialista di medicina della riproduzione che prescriverà esami diagnostici e infettivologici volti alla valutazione dell’idoneità del soggetto.
2. Definizione di un protocollo di stimolazione ovarica il cui obiettivo è quello di recuperare un congruo numero di ovociti.
3. Prelievo degli ovociti realizzato in regime di day-surgery con una blanda sedazione.
4. Crioconservazione degli ovociti mediante tecnica di vitrificazione (un congelamento ultrarapido) e stoccaggio in azoto liquido (a -196 °C).
Quello che spaventa le donne nell’affrontare questo percorso è sostanzialmente il fatto di doversi sottoporre a un protocollo di stimolazione ormonale: a questo riguardo, ricordiamo che i farmaci sono utilizzati in dosi che, è stato dimostrato, non sono in alcun modo correlabili con l’insorgenza di patologie secondarie.
Un altro ostacolo potrebbe essere rappresentato dal costo di accesso alla tecnica: nei centri privati, il prezzo da pagare oscilla tra i 6.000-10.000 U.S.D. degli Stati Uniti (dove peraltro, insieme ad Israele, la tecnica è molto più diffusa che nel resto del Mondo) ai circa 4.000 Euro dei centri di Fecondazione Assistita europei.
Coerentemente con la mission aziendale (che prima del trattamento dell’infertilità di coppia prevede la prevenzione e la diagnosi della stessa), il Centro Palmer di Reggio Emilia, da 33 anni operante sul territorio, ha deciso di realizzare un programma di Social Freezing ad un costo sostenibile per quella popolazione di donne interessate concretamente alla prevenzione della propria fertilità.
Crioconservare gli ovociti entro i 35 anni, inoltre, garantisce (mediamente) ottimi risultati qualora fosse necessario ricorrere allo scongelamento degli stessi: grazie alla tecnica di vitrificazione e successivo “thawing”, è possibile ottenere un tasso di sopravvivenza allo scongelamento di oltre il 90% che, sommato al tasso medio di fecondazione realizzabile con Tecnica ICSI, si traduce in una percentuale di gravidanza cumulativa di circa il 50%. Cioè, lo stesso tasso di gravidanza ottenibile con Ovociti Vitrificati appartenenti, ad esempio, ad una Donatrice di Ovociti.
Quest’ultimo aspetto, senza dimenticare il concetto basilare di prevenzione, sarebbe da estendere in campagne informative: qualora una donna decidesse, infatti, di provare a concepire dopo i quarant’anni, andrebbe inevitabilmente incontro a ritardi e fallimenti con un aumento dei costi economici sia per sé che per il Sistema Sanitario Nazionale.
E’ doveroso, per concludere, che si informi la popolazione femminile circa le opzioni che l’innovazione scientifica rende oggi disponibili allo scopo di preservare la fertilità femminile a beneficio futuro.